Il diffondersi del Covid-19 e le limitazioni imposte hanno portato ad adottare cambiamenti - anche tecnologici - che erano già in corso nel sistema sanitario e avevano fatto emergere l’esigenza di ripensare il sistema della cura e del rapporto con i pazienti. E la telemedicina ha dato vita a una nuova forma di assistenza, personalizzata, continua e distante dagli ambienti ospedalieri, favorendo anche una migliore comprensione dei fattori di rischio.

Autore: Prof. Luca Pani, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Quasi 35 anni fa, quando mi sono laureato in Medicina, la conoscenza sulla salute umana era dominata da scoperte nel campo della Biologia. Meno di due decadi più tardi tutto era già cambiato, perché la Biologia era stata letteralmente divorata dalla genetica molecolare. Negli ultimi 5 anni la robotica ha trasfigurato i processi diagnostici, mentre tutti noi entravamo sempre più profondamente nel mondo delle reti iperconnesse.

Come è possibile che sia accaduto tutto così in fretta? Come è possibile che ci sia stata una rivoluzione silenziosa e altrettanto crudele? Eppure, le cose non stavano andando poi così male per il sapere biologico. Negli anni ’90, la scoperta degli inibitori della proteasi (una nuova classe di farmaci antivirali) aveva cambiato il decorso clinico dei pazienti sieropositivi, mentre i vaccini contro l’epatite B e le meningiti salvavano intere generazioni da sofferenze inutili. E tutti naturalmente ricordano Dolly, la prima pecora clonata. La biologia sembrava inaugurare un mondo nuovo e coraggioso, mentre le innovazioni nel campo della chimica e fisica medica erano in ritardo. I progressi della Radiologia e della Scienza di Laboratorio producevano risultati migliori e più rapidi grazie a test miniaturizzati e di più facile esecuzione automatizzata, ma non molte nuove scoperte. In questi campi il più grande balzo in avanti è stato nell’accesso quasi universale alle apparecchiature di imaging ospedaliero, come le radiografie e le scansioni TAC, mentre il costo e la funzionalità delle “nuove” tecnologie come la Risonanza Magnetica e la PET erano ancora oggetto di dibattito. 

In silenzio, e lontano dalla percezione di molti clinici e farmacisti, sia ospedalieri che territoriali, stava tuttavia emergendo un diverso tipo di scienza che avrebbe avuto un impatto enorme sul modo in cui bisognava ripensare la cura del paziente: la tecnologia delle comunicazioni. Mentre molti di noi, nella vita quotidiana, hanno rapidamente adottato internet, la posta elettronica e i telefoni cellulari sino all’attuale 5G, non c’era un collegamento immediato tra queste tecnologie e la nostra pratica di assistenza sanitaria. Per anni abbiamo continuato a scrivere a mano tutti i nostri appunti nelle cartelle cliniche, spesso pesanti, a compilare prescrizioni cartacee sino a quando il Covid-19 non ha dimostrato che, nella stragrande maggioranza dei casi, esisteva già la possibilità di visitare i pazienti in video e spedire ricette elettroniche senza alcuna necessità di essere presenti. 

Adesso non commettete l’errore di pensare che sia stato un momento passeggero e che la telemedicina sia poco più di uno strumento di comunicazione, perché in realtà è una nuova figura “medico-farmacista”, che fornisce un’assistenza continua e personalizzata nel più breve tempo e il più lontano possibile dagli ospedali. 

Chi ha bisogno di un ospedale, quando si può prevenire o curare una malattia nella comodità della propria casa? Il carico globale delle patologie del mondo occidentale è in gran parte vascolare, con attacchi di cuore e ictus che rappresentano le più grandi cause di morte e che, quindi, sono prevenibili con una migliore comprensione dei fattori di rischio. 

Il Covid-19 ha suggellato la necessità di portare a termine la quarta rivoluzione industriale: quella che dovrebbe portare gli ospedali del futuro a essere più simili a pit-stop di Formula1 e meno ai buchi neri che hanno dimostrato di essere, in tutto il mondo, nell’affrontare questa emergenza. D’ora in poi si dovrebbe andare in ospedale solo per essere “rattoppati” con le migliori tecnologie possibili e rimessi in pista. Alcune pratiche ospedaliere, e persino il concetto stesso di ricovero, finiranno per scomparire. Tra i presidi capillari presenti nel territorio che dovranno prendere in carico questa “Nuova Medicina” ci sono le farmacie: il problema adesso non più procrastinabile, è formare i farmacisti perché si facciano trovare preparati.

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