A marzo 2020 per affrontare la diffusione del Covid-19 e arginarla, IBM ha riprogrammato il proprio Super-Computer Summit per verificare quali composti farmacologici potessero impedire che il virus infettasse le cellule ospiti. Le analisi dei ricercatori sono partite dall’esame del virus già noto SARS-CoV, che presenta l’86% della stessa sequenza genomica del Covid-19. Ma tutto il sistema sanitario ha dovuto accelerare le dinamiche della ricerca per arginare l’elevata diffusione che si stava rilevando a livello globale.

Autore: Prof. Luca Pani, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia (pagina personale)

Con centinaia di migliaia di casi positivi e migliaia di decessi, ma soprattutto con un’aggressività esponenziale a cui nessuno aveva mai assistito negli ultimi cento anni, il nuovo coronavirus COVID-19 rappresenta una sfida senza precedenti per gli scienziati: la velocità con cui il virus si diffonde significa che le ricerche per fermarlo devono progredire altrettanto in fretta, anzi di più.

Summit, il super-computer di IBM dotato del “cervello di Intelligenza Artificiale”, è stato progettato esattamente per risolvere questo tipo di problemi ed è – per il momento – il calcolatore più veloce che abbiamo.

Nel tentativo di comprendere la natura di questo virus altamente contagioso, i ricercatori hanno fatto dei confronti con il coronavirus della SARS (SARS-CoV) – agente causale della sindrome respiratoria acuta grave, meglio conosciuta come SARS -. La SARS-CoV e la SARS-CoV-2 condividono, infatti, l’86% della stessa sequenza genomica.

La SARS è stata considerata “la prima pandemia del XXI secolo”, perché si è diffusa rapidamente da un continente all’altro, causando oltre 8.000 infezioni in 8 mesi, con un tasso di mortalità del 10%. Tuttavia, la SARS-CoV-2 si sta diffondendo molto più rapidamente. Nel 2003 si sono verificati 8.098 casi di SARS, con 774 decessi nell’arco di 8 mesi. Per contro, nei primi 2 mesi dall’inizio dell’epidemia di SARS-CoV-2, il nuovo coronavirus ha infettato più di 82.000 persone, causando più di 2.800 morti.

Cosa rende il nuovo coronavirus tanto più contagioso?

Alcuni studi genetici hanno indagato la struttura microscopica del virus, una proteina chiave sulla sua superficie, e un recettore nelle cellule umane che possono – se considerati nel loro insieme – spiegare perché il virus può attaccare e diffondersi tanto facilmente. L’ipotesi emersa è affascinante, ma bisognava produrre dei dati.

In questo contesto IBM-Summit qualche settimana fa (ndr marzo 2020) ha eseguito migliaia di simulazioni per analizzare quali composti farmacologici già esistenti potessero effettivamente impedire al virus di infettare le cellule ospiti. Dopo circa un’oretta, grazie a circa 200.000 trilioni (ovvero 200 quadrilioni) di calcoli al secondo, ne ha identificati 77.

Tanto per dare dei riferimenti, se un essere umano riuscisse a fare un calcolo al secondo, gli ci vorrebbero 6,3 miliardi di anni per ottenere quello che questo computer fa ogni secondo; e se ogni abitante della Terra – neonati e anziani compresi – riuscisse a fare un calcolo al secondo tutta la popolazione mondiale impiegherebbe 305 giorni per realizzare quello che Summit può fare ogni secondo. Questa mirabolante potenza di fuoco non è economica, né poco ingombrante: Summit costa 200 milioni di dollari, si estende per una superficie di 5.600 metri quadrati (circa due campi da tennis), utilizza 300 km di cavi in fibra ottica e pesa 340 tonnellate. Normalmente viene utilizzato per sviluppare calcoli di astronomia, modellare biomarcatori cellulari che precedono il morbo di Alzheimer, o geni che contribuiscono a tratti comportamentali complessi (come la dipendenza da oppioidi), o creare robot e modellare condizioni ambientali estreme come quelle degli uragani.

Considerata la gravità del COVID-19, Summit è stato riprogrammato per cercare composti farmacologici che potrebbero impedire che il virus si diffonda ad altre cellule grazie alla sua proteina Spike. A quel punto, in meno di 60 minuti, ha simulato come le proteine virali avrebbero reagito a diversi composti, testando oltre 8.000 composti che potrebbero legarsi alle strutture molecolari che il virus utilizza per entrare nelle cellule umane.

Summit ne ha identificati 77 e li ha classificati in base alla probabilità che si legassero al punto di aggancio tra COVID-19 e bersagli ospiti.

Il team di ricerca si ripromette di proseguire le simulazioni, mentre i composti promettenti vengono testati dapprima in vitro e poi dovranno affrontare le classiche sperimentazioni cliniche, anche se – grazie anche alla dichiarazione legate alla pandemia – tutto questo potrebbe essere accelerato, ma certo non alla velocità a cui normalmente procede questo supercomputer.

Per approfondimenti: Supercomputer-Based Docking to the SARS-CoV-2 Viral Spike Protein and Viral Spike Protein-Human ACE2 InterfaceThe world’s fastest supercomputer identified chemicals that could stop coronavirus from spreading, a crucial step toward a treatment

Covid-19 e Summit: supercalcoli virali per affrontare la pandemia
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